Marco Dona
Durante il I sec. a.C. la potenza della repubblica romana era arrivata al suo apogeo e le conquiste che Roma condusse in campo estero le diedero un dominio che nessun altra potenza prima di allora aveva mai avuto, arrivando a dominare l’intero mediterraneo.
Tuttavia la crisi della repubblica aveva messo a dura prova lo stato Romano, provato da decenni di guerre civili e ormai incapace di far fronte a un dominio territoriale che ormai abbracciava tutto il bacino del mediterraneo[1].
Con la fine degli anni ‘80 del I sec. a.C. si erano interrotte le emissioni di moneta di bronzo ed erano rimasti sul mercato vecchi tagli, in particolare assi di standard sestantale e unciale che spesso risultavano, a causa della lunga circolazione, irriconoscibili e con pesi estremamente variabili; pertanto non erano in grado di garantire ovunque il piccolo scambio[2].
Per risolvere questa situazione fu utilizzata la moneta d’oro e d’argento che riuscì ad essere impiegata solo in minima parte per le esigenze dello stato, come il pagamento dell’apparato burocratico e militare, l’approvvigionamento alimentare delle grandi città (prima tra tutte Roma), la manutenzione e l’ampliamento della rete viaria, ecc[3].
Anche queste monete diventarono inaffidabili a causa delle alterazioni apportate nel peso e nel fino da parte delle varie autorità emittenti militari durante i conflitti civili[4]; questo ci consente di comprendere le ragioni d’intervento della riforma di Augusto nel 23 a.C..
Rimasto unico padrone indiscusso della politica romana dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) e la sconfitta definitiva di Marco Antonio e Cleopatra, Augusto, che allora era ancora solo Ottaviano, si ritrovò a fare i conti con un potere che nessun romano prima di allora aveva mai posseduto e s’impegno negli anni successivi a gettare le basi per il consolidamento del proprio potere.
Allo stesso tempo lui attuò una serie di riforme di natura amministrativa e militare[5] che permisero una riorganizzazione dello stato romano dandogli un volto nuovo.
La riforma monetaria seguì le stesse linee politiche delle altre riforme di Ottaviano dando vita ad una vera e propria restaurazione repubblicana, intervenendo solo dove ce n’era bisogno con delle vere e proprie innovazioni[6].
Per tanto le emissioni successive alla battaglia di Azio non si distinguono da quelle precedenti e sono costituite principalmente da aurei, quinari e denari, con il loro grado di purezza e di peso riportato agli standard precedenti alle guerre civili[7].
Però questo primo intervento risolveva soltanto una parte del problema, in quanto veniva incontro ai bisogni primari dello stato, ma non eliminava le esigenze del piccolo scambio e le differenze dei sistemi di valore molto accentuate nelle provincie d’oriente greche-Ellenistiche[8].
Ottaviano cercò di risolvere anche questo problema avviando nel 28 a.C. nelle zecche orientali di Pergamo e di Efeso una sperimentazione monetaria, dove riprese la coniazione del cristoforo d’argento nominale caratteristico dell’asia minore che a partire dall’epoca di Marco Antonio era entrato a far parte del sistema romano con tariffazione ufficiale a tre denari, produsse una serie cospicua di nominali fiduciari in bronzo del valore corrispondente di alcuni tagli dell’epoca repubblicana come il sesterzio, il dupondio, l’asse e il semisse, che da certi aspetti può essere classificata come un’anticipazione della riforma successiva[9].
In tutte queste regioni del mediterraneo orientale, queste innovazioni ottennero fin da subito un diffuso gradimento e il successo di questa sperimentazione[10] convinse Ottaviano ormai diventato Augusto[11], a riaprire nel 23 a.C. la zecca di Roma[12] e dare attuazione a una riforma su larga scala.
L’elemento centrale di tutto il sistema fu assegnato ancora una volta al denario, così come era stato due secoli prima, mentre le emissioni di oro e argento furono caratterizzate dallo stesso tenore di fino e dal medesimo peso delle precedenti emissioni imperiali e furono affiancate ad esse quelle in oricalco e in bronzo[13].
L’elemento veramente innovativo fu la creazione di un articolato insieme di nominali, ciascuno dei quali era legato agli altri da precisi rapporti fissi di cambio.
A completamento di quanto detto va aggiunto che le linee della politica monetaria augustea finirono con il generare due aree monetarie differenti, per quanto saldamente integrate.[14]
Nella prima, comprendente l’Italia e le provincie occidentali europee, si diffuse l’impiego dei nominali riconducibili all’ordinamento di Augusto appena descritto.
Nella seconda, che abbracciava grosso modo tutto il mediterraneo orientale, le rimanenti aree nordafricane e parte della Sicilia, si ricorse a un sistema integrato: i nominali di metallo prezioso (aurei e denari) ebbero libera circolazione, ma a questi si affiancarono anche i cistofori. Quanto alle monete spicciole, si lasciò alle singole comunità di questa parte dell’impero una certa libertà nel dare corso a emissioni monetarie sulla base delle esigenze locali, chiaramente nel rispetto del sistema di conto romano e dell’autorità emittente, che doveva essere necessariamente identificata nella figura dell’imperatore[15].
Le conseguenze che questa riforma ebbe nel mercato, ormai di dimensioni enormi, rimangono ancora incalcolabili anche se noi però oggi le possiamo cogliere attraverso l’analisi di rinvenimenti di epoca romana, i quali ci documentano con relativa uniformità come le monete di epoca augustea e dei suoi immediati successori, coprano percentuali elevatissime rispetto a quelle di altri periodi[16].
In conclusione possiamo dire che con la riforma di Augusto per la prima volta la moneta divenne molto simile a quella odierna, ossia il principale intermediario negli scambi e la fondamentale misura di valore e per l’accumulo della ricchezza privata[17].
Bibliografia
Asolati M. 2001, breve storia della Moneta a Roma, in Alle radici dell’euro. quando la moneta fa la storia, a cura di Gorini G., Treviso, pp. 39-76.
Gorini G. 2004, La moneta romana, in Musei civici di Padova. Museo Bottacin, a cura di Callegher B., Milano, pp. 57-70.
Salvaterra C. 2016, L’impero da Augusto alla crisi del III secolo, in Storia Romana, a cura di Geraci G., Marcone A., Città di Castello(PG), pp. 181-246.
Sitografia
[1] Asolati 2001, p. 52
[2] Asolati 2001, p. 52
[3] Asolati 2001, p. 52
[4] Asolati 2001, p. 52-53
[5] Asolati 2001, p. 51
[6] Gorini 2004, p. 61
[7] Gorini 2004, p. 61
[8] Gorini 2004, p. 61
[9] Gorini 2004, p. 61
[10] Asolati 2001, p. 53
[11] Il riconoscimento del titolo “Augustus”, fu un titolo che Ottaviano si fece riconoscere dal senato nel 27 a.C e va ricollegato etimologicamente al verbo latino augere,che significa “innalzare”, questo atto del senato fu dovuto principalmente alla rinuncia di Ottaviano formalmente di tutti i suoi poteri straordinari, accettando solo un imperium proconsolare per 10 anni, ma che in realtà consolidava il suo potere ancora di più poiché con questo epiteto lo sottraeva dalla sfera propriamente politica per proiettarlo in una dimensione sacrale religiosa. Salvaterra 2016, pp. 186-187
[12] Vale la pena di rammentare che il collasso dell’architettura costituzionale preposta alla produzione monetaria romana durante le guerre civili aveva comportato persino la chiusura della zecca. Asolati 2002, p.52.
[13] Gorini 2004, p. 61
[14] Gorini 2004, p. 62
[15] Gorini 2004, p. 62
[16] Asolati 2001, p. 55
[17] Asolati 2001, p. 55